martedì 2 dicembre 2014

Prova, riprova, alzati e sorridi


Un po’ per caso, un po’ per sfida, alla fine, qualche cosa succede.
Facciamo disfiamo rifacciamo e il risultato non è mai quello previsto (se mai, in ipotesi, qualcuno si è messo a tavolino a fare un calcolo…); però, qualcosa succede.
Le cose, un po’, ti capitano e vengono come vengono. E va bene se non stiamo là tutti a pianificare prevedere calcolare tutto. Insomma, tanto, per il più del tempo, mica si può capire tutto!
Ne sento di storie, storie varie, di vita. E tu vorresti che bastasse una carezza, un abbraccio, un bacio, un qualcosa che fai tu insomma, per sistemare tutto. Ma non riusciamo a sistemare le cose nostre, figuriamoci quelle degli altri!
Alla fine, le cose si aggiustano, si aggiustano sempre. E ci aggiustiamo anche noi.
Non siamo cause perse.
Non siamo sacchetti vuoti.
Non siamo fantocci lasciati là per caso.
Va bene se ci perdoniamo, ci perdoniamo le cose che abbiamo fatto, che ci hanno fatto, che sono successe.
Andare avanti è un po’ questo: anche se sei mezzo sfatto mezzo scoglionato mezzo impaurito, ti rialzi, riprovi e sorridi.
Le cose belle e le cose di sempre restano. Sono là e aspettano solo che le scopriamo o le ritroviamo.
Non importa quanto tempo ci mettiamo: sono là.
E la felicità è una cosa semplice, alla fine.
È una cosa che decidi, che coltivi, che fai.

Se decidi di essere felice, alla fine, cosa ci perdi?

lunedì 1 dicembre 2014

Venticinque giorni a Natale: count your blessings!


Lo Spirito del Natale, quello vero, con le maiuscole, mi scarseggiava. Così, ho messo su un piano anticupezza, una roba contro il disagio, che è tanto, troppo.
La prima cosa che ho deciso: sorridere. Sempre e comunque.
Non ho motivi, almeno nessuno non vero, per essere arrabbiata e uscire da questo anno faticoso senza il sorriso. Perciò, dicano quello che gli pare, io sorrido! E già mi fa più Natale.
Niente addobbi, ma nemmeno fardelli. Ecco la seconda cosa che ho deciso.
Mi sbarazzo del peso del ricordo del Natale di cinque anni fa. Cacciato di casa l’uomo che credevo della mia vita, l’uomo che amavo e avrei seguito parecchio lontano da qui, un uomo strafatto sa solo Dio di cosa e quanta roba assurda, proprio pochi giorni prima di Natale, cacciato di casa lui, mi son ritrovata lì, io, in mezzo a una casa non addobbata, gli scatoloni del trasloco mai fatto, due famiglie da avvisare che la Vigilia e il Natale ognuno faceva da sé, un preavviso da revocare in ufficio e un vago senso di nausea per tutto, ma proprio tutto. Il peggio è arrivato a marzo dell’anno dopo. A marzo sì che ho capito quanto ero stata babbea… a marzo ho proprio capito tutto, aperto gli occhi, visto e toccato con mano quanto avevo toppato! Oh sì che ho capito! E forse è per questo che il ricordo di quel Natale mi piace meno del resto che è venuto dopo: a Natale non sapevo, ancora non avevo capito, non avevo la più pallida idea! Beh, però sono passati cinque anni, io sono sopravvissuta, diventata forte, ho imboccato la strada che ho preso e il ricordo di tutto quel gran disastro è storia. Sai che c’è? Non mi serve, non più, non me lo porto con me nel 2015. E non mi porto dietro nessuno degli altri dispiaceri. Fine.
Nel nuovo anno, mi porto solo le lezioni imparate, su di me e sugli altri. A Natale mi regalo questa cosa. Ecco la terza cosa che ho deciso di fare.
Mi tengo tutte le lezioni, quelle patetiche e quelle più dure, quelle belle bellissime e quelle meno; tutte utili comunque. Tutte le tengo e me le porto con me.
E mi tengo strette le persone che nella mia vita fanno la differenza. Altra decisione.
Non mi illudo, mai nemmeno un secondo che stiamo bene, io o le altre persone; meglio dirlo bene e chiaro, che stiamo messi così cosi. Le persone entrano e escono dalle loro fasi, che sono quasi degli stati di coma, interrotti da brevissimi risvegli. Ma un’altra cosa sulle persone, a furia di incespicamenti, l’ho capita. Le persone che lo ammettono, di stare così così, sono di un’altra qualità. Fanno la differenza. C’è troppa gente insulsa che vive di salamelecchi. Io mi tengo stretti quelli che no. E so che sono poche le persone importanti della mia vita. Lo so. Non mi riempiono le cinque dita di una mano. Ma non è mai stata una questione di misure, per me.
La cosa davvero rivoluzionaria che ho deciso di fare, rivoluzionaria per me, è osare tutto, il possibile e anche l’impossibile.
Prendo dei rischi, ho deciso. Mi prendo il rischio di metterci tempo gentilezza sorriso allegria e comprensione. Magari li spreco. Anzi, è quasi certo. Ma se poi tutto prende vita e acquista un senso, allora, ne valeva.
Tanto, c’è pieno di gente che dispensa consigli. Gente che vuole avere ragione. Gente che dell’altra gente non gliene frega poi molto. La gente fa un po’ come le pare un po’ sempre.
E non capisco chi non gli scappa da ridere!

Basta cupezza. Sciò al disagio. Natale, pensaci te!

mercoledì 30 luglio 2014

La donna che vorrai essere

È il tuo compleanno, amica sorella mia.
È il giorno del tuo passaggio dai venti ai trent’anni. Non è un giorno diverso dagli altri, hai detto. E, in fondo, è così. Chi è diversa, alla fine, sei tu.
Passi. Oggi è il giorno in cui passi.
Fa ridere, vero?
Un po’.
E anche no, per un altro verso.
Noi la prendiamo sempre sul ridere. Ridiamo come matte, su tutto, per tutto, di tutti.
Ti vedo già. Ti svegli, stropicci le mani, sbatti gli occhi, realizzi (e ti scappa un’imprecazione delle tue): buongiorno, ciao mondo, ciao lauri, eccoti. Ciao! Ben alzata, ben svegliata, buon compleanno, trentenne!
Come ti sembra quest’aggettivo? Dai! Proviamo! Puoi iniziare le frasi con “ormai, a trent’anni, si sa…”. Puoi dire “i trenta, ormai, li ho passati…”. Puoi fare quella che “ho trent’anni, ma tutti me ne danno ventisei”; o quella che, quando ti chiedono l’età, risponderà “Indovina? Quanti me ne dai?”. E, se vuoi, giocarti la carta MILF (per la Cougar, stai serena, sei ancora indietro… respira!!).
Nel gioco del dire-fare-baciare-lettera-ecosavuoitu i trenta ci stanno, no? Che dici?
E tu, ma tu, poi, alla fine, tu, come ti ci senti?
È un giorno speciale, amica sorella mia. E io, anche se non ci sarò (ma solo per un po’ di ore), sto facendo di tutto per esserci.
Tu che, la prima volta che ti ho incontrata, mi scrutavi con la fronte corrucciata (e, oggi che ti conosco bene, so tutto quello che hai pensato).
Tu che dai sempre, sempre tutto, tutta l’energia e tutto l’entusiasmo che hai, sempre, sempre senza riserve e sempre senza chiedere nulla in cambio.
Tu che, ogni giorno, da una stanza all’altra, mi chatti su whatsapp per chiedermi una pausa sigaretta.
Tu che, tutti i giorni, ogni giorno, sorridi, sei ottimista, e ci credi, e tanto, per tutti, e ci riesci, a contagiarci, contagiarli, tutti.
Tu che, infondo lo sai, ma non conta, e sai anche questo, cambi il mondo, con un sorriso.
Tu che sei tanto piccola, come una bambolina.
Tu che sembri indifesa e, invece, balzi e voli alto sopra ogni cosa, superi tutte le cime più dure, con la dolcezza, la tenerezza, volando alto, con la tua anima forte e bella.
Tu che hai intorno mille amici, millemila persone che ti adorano.
Tu che hai un senso di famiglia, che fai famiglia, sei famigliare.
Tu che sei così come sei: al mattino, alle otto di sera, nel cuore della notte.
Tu che non vuoi vedere quanto di bello hai costruito, da sola, con le tue magie, i tuoi sorrisi e la tua travolgente energia.
Tu, amica tesoro mio, sei un po’ di questo e sei di più.
E tu, oggi, compi trent’anni.
Sono un sacco e mezzo di tempo, lo so. E possono pesare questi trent’anni. Magari no, magari non tutti, magari solo alcuni. Ma che bello!
Che bello, oggi, avere di fronte a te tutta una decina, nuovanuova, da iniziare, da fare disfare sbagliare o azzeccare fortissimo, mandare in vacca sbaragliare scommetterci, riuscirci e poi cadere, e rialzarsi, ancora e ancora e ancora.
Che bello! Figata pazzesca, amica! Fatteli, fatteli tutti di corsa, tutti di un fiato, di un botto, questi trenta, amica. Oppure no. Pensaci, fermati passin passetto, fanne uno alla volta, fanne mezzo, poi aspetta, poi vedi e studia e tentenna e temporeggia, cazzeggia, cincischia. Fai tu, fai quello che senti, fai e vai, amica! Tutto quello che farai, vedrai, seguendo il cuore l’istinto volando alto, vedrai, sarà una conquista e sarà meraviglioso esserci arrivata!
Questo è il mio augurio, per te, bambolina sorella mia!
Che tu scelga il tempo.
Che tu scelga il tuo ritmo.
Che tu scelga le mete.
Che tu ci metta il cuore il sangue l’anima le lacrime e le scarpe, sempre, sempre tutti, sempre tuoi e sempre di più.
Che tu vada vada vada, sempre avanti, che tanto indietro non si va.
Che tu aspetti, solo per riprendere fiato, o per cogliere l’occasione il treno l’opportunità.
Perché verranno le opportunità, ci saranno i giorni, arriverà il momento e tu sarai quello che sei e poi anche quello che diventerai. Perché sceglierai e sceglierai con il cuore, seguendo l’istinto. Così ti auguro. Che tu veda, oggi, già da qui, quale donna vuoi diventare e, oggi, compiendo trent’anni, tu voglia arrivarci.
È il tempo dei desideri in grande, quelli grossi come case!
E tu ci sei più vicina di sempre e quella donna che tu vedi è la donna che sei già, perché la vedi, io la vedo, la vediamo.

Buon compleanno, amica sorella tesoro del mondo!

martedì 15 aprile 2014

Senza peso

Ho conosciuto un ragazzo, una sera, un po’ di tempo fa, a una festa. Nella bolgia, chiacchiere fra noi e con mille altre persone. Dovevo andare e, a un certo punto, ho salutato. Tra le muraglie umane, ci siamo scambiati i numeri di telefono, come si fa a volte, senza pensarci e senza un perché. Mi ha inseguita sul pianerottolo. Stavo scendendo le scale; mi sono voltata, gli ho sorriso. Stava lì. Ho salito i due gradini che avevo già fatto, l’ho baciato. Poi, me ne sono andata. Dovevo davvero andare.
Da lì, sono passate tante settimane di messaggi e messaggi e ancora messaggi. Incontri nella vita reale: credo quattro. Telefonate: tre (quattro, se contiamo anche una telefonata persa).
Poi, lui rompe il telefono. Lo scopro quasi in tempo reale su facebook. E realizzo che, con il telefono, anche noi avevamo finito il nostro tempo. Io, per lui, esistevo su whatsapp; fuori dalla chat, forse, anche; ma meno, molto meno.
Io, che ho bisogno di sguardi, realtà, carne, contatto. Io, che penso sempre che tutto si dimostri con i fatti, anche la poesia e l’amicizia prima di ogni cosa. Io, che non leggo tra le righe, non ho fretta di mettere le etichette e dare i nomi alle cose. Io, che non sopporto i limiti. Io, proprio io, sono diventata un’astrazione, un’idea.
Ci concediamo, solo ogni tanto, e sempre meno crescendo, di rischiare.
Dimentichiamo che le paure non esistono.
E, così, per non esporci, ci mettiamo al sicuro, al riparo, fra le nostre quattro certezze, i nostri soliti amici, le abitudini, i gesti fatti senza pensare.
Come i messaggini.
Mandiamo un milione e mezzo di messaggini al giorno: dal telefono, sui social, sulle chat, anche a lavoro, da una scrivania a un’altra; quando ci pare; solo se ci va. Sintetici, poche righe, un link di un sito, una faccina.
Ma i sentimenti non passano.
Si perde la poesia.
Sprechiamo l’occasione che ci ha dato il destino di lasciare che una persona sia quello che deve essere, anche per poco, per quello che sarà: un amico, un mentore, un’illusione, un amore.
Mentre messaggiamo, ci scordiamo di vivere, di metterci qualcosa di nostro, nelle cose che facciamo.
E non diamo più peso: alle persone, ai sentimenti, alle nostre aspirazioni, alle ispirazioni.
Non ci accorgiamo.

Semplicemente, perdiamo peso anche noi. Perdiamo quei pochi grammi di anima che fanno la differenza.
EMLG

giovedì 27 marzo 2014

Mai così vicina al mio cuore

Lascio tutto da parte, per un attimo, e ti scrivo, amica mia.
So che lo farai anche tu – non vedo l’ora! – e non voglio anticiparti; oggi è semplicemente un giorno giusto per scriverti. Posso lasciare da parte tutto, anche per un attimo, e scriverti. E quindi lo faccio, ti scrivo, qui, perché è questo il posto giusto.
Mi hai insegnato tante cose, amica. Mi hai insegnato a mettermi a fuoco, a vedermi con i tuoi occhi. Poi, con pazienza, tanta pazienza, hai lasciato che io passassi di nuovo all’azione. Come se vivessimo allo specchio, una di fronte all’altra, mi hai accompagnato nel viaggio verso il centro della mia vita, del mio cuore. Quando credevo di non avere più voglia, me ne hai prestata un po’ della tua. Quando credevo di non avere più ragioni, hai frugato nelle tue tasche e trovato quella che poteva fare al caso mio. Quando non sapevo da che parte iniziare, hai aperto il cancello e mi hai invitato a camminare in avanti. Quando mi è parso di non conoscere la ricetta per far funzionare le cose nella mia vita, mi hai mostrato il mio cuore e hai aspettato, tanto tempo, tutto il tempo che mi è servito, perché io capissi che doveva partire tutto da lì.
Più vicina di così, al mio cuore, non credo, non so, forse no, non potrei esserlo.
Ci sono. Sono qui e ti scrivo, come se ti parlassi da qui, dal mio cuore.
Potrei semplicemente sorriderti; sai cosa mi passa per la testa semplicemente guardandomi negli occhi.
Potrei semplicemente ridere; sai già, dal tono della mia voce, se e come sto.
Potrei anche solo pensarti. Ti arriverebbero i miei pensieri.
Come se tu leggessi una sottile punteggiatura fra le righe di un discorso che stiamo scrivendo insieme, tu sai che cosa voglio dirti, anche più di quanto lo sappia io, ogni volta che ho bisogno di dirti qualcosa, ogni volta che tu hai bisogno che io ti dica qualcosa.
Che sia stato il destino, il flusso, l’universo, non importa. Quello che conta, veramente, è tutto quello che abbiamo fatto, quello che vogliamo e quello che ancora costruiremo, insieme.
Mano nella mano, specchio nello specchio, amiche e sorelle.

Così, oggi, tanto vicina al mio cuore, ci sono io, come ci sei tu. Grazie a te, con te. Soffiamo forte, come si fa su quei fiori peluccosi, e vediamo cosa succede.
EMLG

martedì 18 marzo 2014

È emerso che sono una stronza

È successo. Mi hanno beccata. Sono una stronza!
Spallucce. Pazienza. Il mondo può farsene una ragione.
Perfetta, no. Anche no, grazie. Non mi sforzo nemmeno di sembrarci. Per carità!
Quei bei bambini bravi, tutti a modino, col grembiulino, seduti buoni, a postino, in fila per due, mi danno i brividi. Futuri serial killer, ecco cosa sono. Diavoli incarogniti, in perfetto travestimento da cocchi di mamma, pronti ad esplodere e fare una carneficina appena gli tolgono un po’ di attenzione!
Fuggire, prego, quelle sono le uscite di sicurezza!
Le cose buone, ho imparato, sanno di buono perché hai conosciuto l’amarezza. O viceversa, per i più fortunati. La grazia e la crudeltà. Vita e morte, bianco e nero, yin e yang. Una cosa esiste perché può essere definita (anche) attraverso il suo opposto. E possiamo accettare la durezza del mondo solo perché cerchiamo (e afferriamo) la felicità. A volte, la troviamo; a tratti, ci sorprende, inattesa, insperata.
La stronzaggine è venuta a galla così, senza un fax di preavviso, una telefonata, un toc toc alla porta. Sorpresa sorpresina!
E che goduria! Che liberazione! Una lampadina che finalmente si accende nel buio più totale!
Il dark side, il mostro che abbiamo dentro, non è meno degno.
E, qui lo dico e lo sottolineo, visto che sono solo una stronza, vi va bene, ma tanto bene!
Potrei essere una serial killer, appunto!
Potrei essere una finta buona, una benpensante, una ragazza per bene. Una di quelle che arriva vergine al matrimonio (e poi… Stiamo tutti pensando la stessa cosa? Già… Si sa!). Una maniaca depressiva. Una mamma che accompagna i figli a scuola e spaccia droga nei luna park.
La stronza si capisce subito che è stronza.
Io ce l’ho scritto in faccia, qui sulla fronte.
Non nascondo niente. Non c’è altro sotto ai miei ricci pazzi.
Vado diretta. Dico quello che penso. Faccio solo quello che mi sento. Onesta, nella mia stronzaggine! Magari non piace, non a tutti. Pazienza. Me ne sono fatta una ragione circa trent’anni fa, quando ero già una stronza, piccola, ma sempre io.
Non mi sto elogiando (forse un po’, forse sì; ma egoriferita no, non sono io quella. Avrei un paio di nomi da fare, se foste a caccia di esemplari classici… ma non sono io!).
Non mi sto schierando contro i buonisti (anche se, pure quelli, diciamolo, hanno scocciato…).
Non voglio neppure fare riferimenti trasversali all’ultima piaga della società: “le belle persone” (ho un’amica che non vuole più sentirselo dire, o le vengono sfoghi eritemi e pruriti fortissimi. Stiamo risolvendo con reciproci e quotidiani incitamenti a essere cattive persone: sta funzionando!).
Forse ho voglia di dare un consiglio (non ne do mai, per principio, perché non giudico, e non si danno consigli, senza aver giudicato… pensateci, se date consigli, allora, voi giudicate! Mi spiace. È la verità. Sono una stronza. Ve l’avevo detto!).
O un avvertimento (ma anche no! Io sono stronza anche se non vi avverto. E non smetto per non darvi un dispiacere. E no, non mi scuso).
La butto lì e, fossi in voi, la prenderei così, questa cosa, come tante altre senza una vera ragione specifica. Prendiamola come la pioggia, come i pollini, come i vulcani, come Babbo Natale. Esistono (anche Papà Natale, non scherziamo, per cortesia!). Punto.
Non domandiamoci tutti se e come mai e perché e da quanto. Lasciamola lì, così. Come voi avete i punti neri, le braccia corte o i denti cariati. Come certa gente è bugiarda, infingarda, furba, maleducata. Così. Capita.
E, se ci sono degli stronzi che si riconoscono, che si amano con tutta la loro bella, gigante, onesta e strabiliante stronzaggine, ma se la passano male, perché hanno amici benpensanti, apriamo qui, subito, un club di stronzi. Uniamoci! Mettiamoci a nudo, belli fieri, petto in fuori, tutti insieme! Non facciamoci relegare nel cantuccio dei cattivi col cappello con le orecchie da asino! Ribelliamoci!
Siamo onesti, fino in fondo, e una volta per tutte: non siamo stronzi noi, sono gli altri che non sono veri!
Ah! Dimenticavo. Siamo stronzi. Non vuol dire che siamo anche cattivi, bastardi, sleali. Verificare per credere: il cuore di uno stronzo è grande il doppio, consuma meno carezze, da il triplo di amore, accelera da zero a cinquemila in 0,5 secondi netti, regge a tutte le intemperie ed è garantito cinquant’anni!

Provate e poi mi dite!
EMLG

lunedì 17 marzo 2014

Questione di buon "senso"

Non è una questione di polemica. Non è neppure un tentativo di denuncia di ciò che funziona con l’obiettivo di cambiare il mondo e sentirsi più zen.

Ma ecco.  La gente non ascolta. Forse sente. Di sfuggita. Ma poi dimentica. E… Ciao! 
Non solo non ascolta manco avesse tappi di cerume pleistocenici, neppure legge. Si lascia indietro una serie di informazioni importanti, non solo della propria vita, ma anche di quella altrui (che tecnicamente comprende anche le persone care – forse-).

Allora ho deciso di non ripetere. Mai. Se chiedo un consiglio, una cortesia, o se viene detta semplicemente una cosa e non ha riscontro.. non importa… non lo ripeto. (viva Paganini).

In rarissimi casi le persone ascoltano davvero.. tranne quando stai baccagliando. Antenne a parabola, ricevi pure i canali del Kazakistan con interferenze dell’Oceania ed ET ti sta telefonando. Viene registrato ogni singolo racconto, per non apparire superficiali-disinteressati. Ma dura poco.

Non abbiamo mica perso questa abitudine così.. come fosse la verginità… ad un certo punto siamo inghiottiti da quello che facciamo – oddio mi chiama il capo per sapere se la giurisprudenza padana ha pronunciato sulla nascita prima dell’uovo o della gallina – o da quello che dobbiamo fare – mettermi a dieta, andare in palestra, chiamare la nonna, vestito in tintoria, girare nell’iperuranio e ritorno.

Eppure ascoltare non è male. Ovviamente dipende dall’interlocutore. Insomma, se mi fermano incappucciati vestiti fluo– per carità, rispettabilissimi - di chicchessia tradizione dell’olocausto che mi decreta la nascita di piaghe sulle mie mani (ma perché?), inondazioni (io non so nuotare, non credo nel potere del salvagenti – e comunque con il mio culo sarebbe bucato – né sono buona ad aggrapparmi. Secondo Darwin io sarei spacciata. Spacciatissima) e draghi che sputano palle di fuoco rotanti capaci di segare in due grattacieli (fortuna che a Torino ce ne sono pochi). Ecco… magari prima di dedicare tempo a loro, si potrebbe privilegiare quell’amico in crisi di mancanza dell’amore femminile (che per i maschi spesso è un rapporto troppo stretto con la parte più intima di sé.. Federica), l’amica in costante afflizione per il peso, quella che non trova se stessa, quella che fa la figa, quella cha fa la figa di legno, quella figa e basta, il fidanzato.

Ascoltare, e più in generale dare spazio ai sensi… è qualcosa che dimentichiamo di fare. Ma la meraviglia di riscoprirne le sensazioni è qualcosa di unico (quasi come la mia odierna voglia di lavorare).
Staccandosi da una dimensione più polemica e di puro vaneggiamento verbale per concentrarci su un qualcosa di più concreto, mi piacerebbe ricordare cosa vuol dire “sentire i sensi”.

Ascoltare la voce di una persona, stare in una stanza buia e sentire solo la voce, prima il suono. Poi i picchi e i bassi, rendersi conto di come le onde sonore entrano nelle nostre orecchie… poi percepire e capire il contenuto. (non è che uno poi deve farsi sta scena in mezzo ad una strada… nella migliore delle ipotesi ti prendono per scemo, nella peggiore ti stirano). Ecco. Quella è una voce che non scorderemo più e il contenuto sarà impresso nella nostra mente. Come quella della mamma che ti parla… magari per dirti che come il solito hai mollato i calzini sporchi sul balcone prendendolo come un segno di profondo disordine, quando l’intento era quello di preservare la famiglia.

Guardare.. guardare i lineamenti di una persona, fermarsi sulle increspature del viso, notare che è cambiato, che, la piega del sorriso e degli occhi può dire molto più di quanto possa essere nascosto dietro una “Grazie, sto bene” – la buglia più gettonata dei tempi, è vecchia tanto quanto la professione delle prostitute.. Vedere la borsa colma e lisa di un professionista che passa per strada, la fidanzata che si aggiusta continuamente i vestiti (mentre pensa “ma non mi dice niente del vestito nuovo? Per metterlo ho pure dovuto incellophanarmi nella mutanda contenitiva”), la foglia che veleggia nell’aria quando cade dagli alberi. Se non ci facciamo caso.. sono informazioni che perdiamo.

Toccare. Quante volte ci si saluta con un bacio? Quante volte con il fidanzato? Perché non godersi un momento così bello? È una privazione… Bisognerebbe fermarsi.. pensare. Prima il contatto, poi toccarsi con le labbra, sentire la vicinanza e poi la sensazione della pelle, la sua compattezza, poi la densità dei tessuti e la morbidezza. Così in ogni contatto… se ci concediamo un attimo in più riusciamo a sentire il gusto di quelle labbra… ed è un altro senso sorprendente.

Quante volte ci accorgiamo più della puzza che del buon odore che non sia cibo o profumo? Avvicinarsi tanto da apprezzare l’odore di qualcuno, se ci si riempie i polmoni ci accorgiamo che inebria tutto il cervello e allappa la bocca…


Ecco.. ora devo ricordare di farle, se no le connessioni sono inutili.

LXFH

martedì 11 marzo 2014

Grazie mille, sarà bello.

Ho un’amica che ripete le cose almeno 3 volte quando le racconta. 
Ne ho un’altra che non può non puntualizzare e rispondere il peggio possibile, una terza che non concepisce il significato di puntualità (concetto che sfugge anche a me, delle volte). 
Ne ho una che sclera, una lunatica, una che ha il ciclo premestruale troppo lungo o troppo corto e, poi, e poi ci sono i maschietti… che pur non avendo la fase premestruale hanno tutto il resto.

Ebbene io mi arrabbio tantissimo. 
Tantissimo quando devo ascoltare una cosa mille volte, quando sento risposte pessime che potrebbero lasciare spazio a modi, non più gentili, solo più civili… e quando aspetto, aspetto che la mia amica arrivi che come al solito ha trovato “un-amico-sotto-casa-che-l’ha-tenuta-un’ora-raccontandole-del bellissimo cucciolo di grifone che ha comprato su un sito di aste on line” – “il gatto si è ingoiato il nano da giardino della vicina e ora ha lo stomaco a forma di berretto a punta”.

Poi in realtà no. Non mi arrabbio. Penso al fatto che io ho scelto, e ho scelto loro, una/o a una/o e mi vanno bene così come sono (e poi voglio dire… parlo proprio io…).

Partendo da questo rifletto sulle persone che credono di poter salvare anime-perse-sulla-terra-che-attendono-l’arrivo-dell’ancella-misericordiosa e allora cominciano con “non dovresti fare questo”, “fai così”, “non dire questo”, … ma gettati da una finestra (piano rialzato non vale).

Ora… c’è una grande differenza tra chi cerca di dare una raddrizzata ad una persona vicina che sta pericolosamente deragliando su un qualcosa di oggettivamente sbagliato (non mi viene in mente altro che la droga, perché il sesso e il rock and roll sono una gran bella cosa – o un “lascio moglie e figli per mettermi con quella 18enne con poppette sode e culetto di marmo -) e chi invece pensa che il mondo dovrebbe girare in un senso unico: il proprio. 

Credo sia il limite tra il fanatismo del sé per cui chi si comporta diversamente sbaglia, e una vera dimostrazione di affetto per cui dietro il consiglio c’è una premura.

Le persone non cambiano. Ecco. Si smussano. Forse. Anche la persona più affine a noi avrà qualcosa che non ci piace, perché non è noi (ammesso che ci piacciamo).

In tutto ciò non so se esista una formula magica che lava via ciò che non ci piace. Ma nel processo "azione dell'altro - incazzatura - reazione mia", mi rendo conto che potrei sbagliare quando cerco, anche inconsapevolmente, di far “cambiare” qualcuno, ho capito che forse un modo c’è. Accettare.

Accettare che gli altri sono diversi da noi (e meno male), e accettare che è proprio alla loro diversità che ci siamo affezionati. 
E poi… avere un po’ di fiducia, ben centellinata, arrivando al punto di rendersi conto che forse, dietro il ritardo cronico, la luna storta, la rispostaccia, ci sia altro… un amore naufragato o un marinaio che naviga troppo velocemente verso il largo, un lavoro troppo o poco stretto e via dicendo…  


Poi voglio dire… se proprio non si va d’accordo… “grazie mille, è stato bello”.

LXFH

martedì 25 febbraio 2014

A botte di fortuna o di destino

Avrei voluto scrivere di come la testa, i pensieri, ci trascinino via, a volte, in mari di idiozie. Come se il cranio si riempisse di bruchi, che vermeggiano allegri là nel mezzo. Ma poi ho riconsiderato la cosa. Non posso iniziare così. Questo è un argomento che va speso bene e me lo vorrei giocare più in là.
Riflettevo, invece, mentre pedalavo in giro, su e giù per la città, roba proprio dell’ultimo minuto, che io non so esattamente come è che si faccia a farsi voler bene. Non è una cosa che decidi. Succede e lasci che sia.
È una cosa così, pensavo. Si tratta di lasciar fare. Si da, si prende. Come mettersi in tasca il bene che si riceve. Così, pensavo. Poche pedalate, ho liquidato l’argomento: ho concluso che no, non son capace, non sempre, almeno. Imparerò, mi sono detta. E chiusa lì la cosa.
Dirò poi bene dei bruchi, ma è chiaro che certe teste, ci metto la mia, son bislacche forti. Le cose si arriva a pensarle giuste. Quasi giuste. Poi, non si sa come, ci si perde. Va così! Sono solo pensieri. Per fortuna! Passano. Si possono cambiare, per fortuna o per destino. E, normalmente, le botte di fortuna o di destino, a me, capitano nelle pause sigaretta con Laura. E ringrazio, ringrazio l’Universo con tutta me stessa, che ci piaccia così tanto fumare!!
Così, in una pausa sigaretta, le racconto di come, negli ultimi tempi, abbia scoperto che si preoccupino per me, che i miei amici si occupino di me preoccupandosi di me. Stizzita quasi, sto lì, a considerare questa faccenda. Faccenda che, mi dico e le dico, ha del losco. Ma no, mi spiega Laura, no, non va così; se ti vogliono bene e ti fidi, i tuoi amici si preoccupano, anche, per te. Laurina, l’ho imparato, ha ragione. Più o meno quasi sempre. Meglio non discuterci. Ormai lo so. Porto a casa così com’è e come me lo spiega lei: non è inaccettabile, non è scorretto, non una violenza. È il bene degli altri, non un’invasione. Punto. Laura è stata decisamente più articolata di così, ma ho riassunto e non dispiacerà.
Forse si tratta anche di abitudini. In fondo, è più semplice occuparsi degli altri, piuttosto che lasciare che gli altri si occupino di noi. Ti preoccupi, lo fai, spesso e più volentieri, piuttosto che permettere che qualcun altro lo faccia con te. Tanto per fare un esempio, si vorrebbe farle le sorprese, non riceverle. È risaputo, non a caso, che non esistono sorprese belle davvero. E si è anche sparsa la voce che, per cortesia, per carità, pensateci bene, non fatele, le sorprese, no, mai, su, dai.
E così, sempre riassumendo, mi sono ritrovata a domandarmi se e chissà se ci si ferma mai, ogni tanto, a chiedersi se si facciano entrare le persone nella propria vita o se invece le si lasci lì, qualcuno ancora che aspetta sullo zerbino che si vada ad aprirgli la porta, qualcuno in salotto, qualcuno che cerca parcheggio nella via sbagliata. Si depista. Si viene tenuti alla larga. E non lo so, sarà l’idea che certi spazi, poi, una volta che qualcuno ci è arrivato, forse ti sembrano meno tuoi, ma la cosa è proprio che si fa resistenza, tanta. È una cosa tanto normale. Un muro di silenzio. Un’apparenza di allegria e sorrisi. Poi è l’orgoglio, altre volte l’indifferenza. Ci si difende, anche dal bene degli altri.
Volersi bene, però, significa che la decisione l’hai presa: ti fidi, hai giocato quella carta all’inizio, hai dato il permesso. Una volta, che vale per tutte le altre successive e si spera per sempre, o almeno fino a che una persona resta nella tua vita. E il permesso non si ritratta, né si chiede. Si va, amen, avanti e così via, così sia. E si vuole bene, e si lascia anche che ti vogliano bene, quelli, non tutti, quei pochi, si spera scelti, e selezionati bene all’ingresso, cui tu hai dimostrato il tuo bene.
A loro bisogna lasciare un po’ tutto lo spazio che c’è, lasciare che si occupino di noi e, va bene, sì, anche che si preoccupino per noi. Lasciare che attraversino l’ultimo miglio; dall’ingresso, al salotto, alla stanza con il letto sfatto, fino allo sgabuzzo, quello degli orrori.

Si fa così. Si lascia fare. Si mette in tasca l’amore che arriva, fin dove arriva. E arriva. Tra una sigaretta e l’altra, un interrogativo e una botta di destino. E allora lo sai, lo saprai sempre, che era bene e che l’hai fatto entrare, gli hai dato spazio e lo sapevi come si fa, ad accettarlo, a farlo tuo, calzarlo addosso, al meglio che puoi, come lo dai tu, così, a modo tuo.
EMLG