martedì 25 febbraio 2014

A botte di fortuna o di destino

Avrei voluto scrivere di come la testa, i pensieri, ci trascinino via, a volte, in mari di idiozie. Come se il cranio si riempisse di bruchi, che vermeggiano allegri là nel mezzo. Ma poi ho riconsiderato la cosa. Non posso iniziare così. Questo è un argomento che va speso bene e me lo vorrei giocare più in là.
Riflettevo, invece, mentre pedalavo in giro, su e giù per la città, roba proprio dell’ultimo minuto, che io non so esattamente come è che si faccia a farsi voler bene. Non è una cosa che decidi. Succede e lasci che sia.
È una cosa così, pensavo. Si tratta di lasciar fare. Si da, si prende. Come mettersi in tasca il bene che si riceve. Così, pensavo. Poche pedalate, ho liquidato l’argomento: ho concluso che no, non son capace, non sempre, almeno. Imparerò, mi sono detta. E chiusa lì la cosa.
Dirò poi bene dei bruchi, ma è chiaro che certe teste, ci metto la mia, son bislacche forti. Le cose si arriva a pensarle giuste. Quasi giuste. Poi, non si sa come, ci si perde. Va così! Sono solo pensieri. Per fortuna! Passano. Si possono cambiare, per fortuna o per destino. E, normalmente, le botte di fortuna o di destino, a me, capitano nelle pause sigaretta con Laura. E ringrazio, ringrazio l’Universo con tutta me stessa, che ci piaccia così tanto fumare!!
Così, in una pausa sigaretta, le racconto di come, negli ultimi tempi, abbia scoperto che si preoccupino per me, che i miei amici si occupino di me preoccupandosi di me. Stizzita quasi, sto lì, a considerare questa faccenda. Faccenda che, mi dico e le dico, ha del losco. Ma no, mi spiega Laura, no, non va così; se ti vogliono bene e ti fidi, i tuoi amici si preoccupano, anche, per te. Laurina, l’ho imparato, ha ragione. Più o meno quasi sempre. Meglio non discuterci. Ormai lo so. Porto a casa così com’è e come me lo spiega lei: non è inaccettabile, non è scorretto, non una violenza. È il bene degli altri, non un’invasione. Punto. Laura è stata decisamente più articolata di così, ma ho riassunto e non dispiacerà.
Forse si tratta anche di abitudini. In fondo, è più semplice occuparsi degli altri, piuttosto che lasciare che gli altri si occupino di noi. Ti preoccupi, lo fai, spesso e più volentieri, piuttosto che permettere che qualcun altro lo faccia con te. Tanto per fare un esempio, si vorrebbe farle le sorprese, non riceverle. È risaputo, non a caso, che non esistono sorprese belle davvero. E si è anche sparsa la voce che, per cortesia, per carità, pensateci bene, non fatele, le sorprese, no, mai, su, dai.
E così, sempre riassumendo, mi sono ritrovata a domandarmi se e chissà se ci si ferma mai, ogni tanto, a chiedersi se si facciano entrare le persone nella propria vita o se invece le si lasci lì, qualcuno ancora che aspetta sullo zerbino che si vada ad aprirgli la porta, qualcuno in salotto, qualcuno che cerca parcheggio nella via sbagliata. Si depista. Si viene tenuti alla larga. E non lo so, sarà l’idea che certi spazi, poi, una volta che qualcuno ci è arrivato, forse ti sembrano meno tuoi, ma la cosa è proprio che si fa resistenza, tanta. È una cosa tanto normale. Un muro di silenzio. Un’apparenza di allegria e sorrisi. Poi è l’orgoglio, altre volte l’indifferenza. Ci si difende, anche dal bene degli altri.
Volersi bene, però, significa che la decisione l’hai presa: ti fidi, hai giocato quella carta all’inizio, hai dato il permesso. Una volta, che vale per tutte le altre successive e si spera per sempre, o almeno fino a che una persona resta nella tua vita. E il permesso non si ritratta, né si chiede. Si va, amen, avanti e così via, così sia. E si vuole bene, e si lascia anche che ti vogliano bene, quelli, non tutti, quei pochi, si spera scelti, e selezionati bene all’ingresso, cui tu hai dimostrato il tuo bene.
A loro bisogna lasciare un po’ tutto lo spazio che c’è, lasciare che si occupino di noi e, va bene, sì, anche che si preoccupino per noi. Lasciare che attraversino l’ultimo miglio; dall’ingresso, al salotto, alla stanza con il letto sfatto, fino allo sgabuzzo, quello degli orrori.

Si fa così. Si lascia fare. Si mette in tasca l’amore che arriva, fin dove arriva. E arriva. Tra una sigaretta e l’altra, un interrogativo e una botta di destino. E allora lo sai, lo saprai sempre, che era bene e che l’hai fatto entrare, gli hai dato spazio e lo sapevi come si fa, ad accettarlo, a farlo tuo, calzarlo addosso, al meglio che puoi, come lo dai tu, così, a modo tuo.
EMLG

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