giovedì 27 marzo 2014

Mai così vicina al mio cuore

Lascio tutto da parte, per un attimo, e ti scrivo, amica mia.
So che lo farai anche tu – non vedo l’ora! – e non voglio anticiparti; oggi è semplicemente un giorno giusto per scriverti. Posso lasciare da parte tutto, anche per un attimo, e scriverti. E quindi lo faccio, ti scrivo, qui, perché è questo il posto giusto.
Mi hai insegnato tante cose, amica. Mi hai insegnato a mettermi a fuoco, a vedermi con i tuoi occhi. Poi, con pazienza, tanta pazienza, hai lasciato che io passassi di nuovo all’azione. Come se vivessimo allo specchio, una di fronte all’altra, mi hai accompagnato nel viaggio verso il centro della mia vita, del mio cuore. Quando credevo di non avere più voglia, me ne hai prestata un po’ della tua. Quando credevo di non avere più ragioni, hai frugato nelle tue tasche e trovato quella che poteva fare al caso mio. Quando non sapevo da che parte iniziare, hai aperto il cancello e mi hai invitato a camminare in avanti. Quando mi è parso di non conoscere la ricetta per far funzionare le cose nella mia vita, mi hai mostrato il mio cuore e hai aspettato, tanto tempo, tutto il tempo che mi è servito, perché io capissi che doveva partire tutto da lì.
Più vicina di così, al mio cuore, non credo, non so, forse no, non potrei esserlo.
Ci sono. Sono qui e ti scrivo, come se ti parlassi da qui, dal mio cuore.
Potrei semplicemente sorriderti; sai cosa mi passa per la testa semplicemente guardandomi negli occhi.
Potrei semplicemente ridere; sai già, dal tono della mia voce, se e come sto.
Potrei anche solo pensarti. Ti arriverebbero i miei pensieri.
Come se tu leggessi una sottile punteggiatura fra le righe di un discorso che stiamo scrivendo insieme, tu sai che cosa voglio dirti, anche più di quanto lo sappia io, ogni volta che ho bisogno di dirti qualcosa, ogni volta che tu hai bisogno che io ti dica qualcosa.
Che sia stato il destino, il flusso, l’universo, non importa. Quello che conta, veramente, è tutto quello che abbiamo fatto, quello che vogliamo e quello che ancora costruiremo, insieme.
Mano nella mano, specchio nello specchio, amiche e sorelle.

Così, oggi, tanto vicina al mio cuore, ci sono io, come ci sei tu. Grazie a te, con te. Soffiamo forte, come si fa su quei fiori peluccosi, e vediamo cosa succede.
EMLG

martedì 18 marzo 2014

È emerso che sono una stronza

È successo. Mi hanno beccata. Sono una stronza!
Spallucce. Pazienza. Il mondo può farsene una ragione.
Perfetta, no. Anche no, grazie. Non mi sforzo nemmeno di sembrarci. Per carità!
Quei bei bambini bravi, tutti a modino, col grembiulino, seduti buoni, a postino, in fila per due, mi danno i brividi. Futuri serial killer, ecco cosa sono. Diavoli incarogniti, in perfetto travestimento da cocchi di mamma, pronti ad esplodere e fare una carneficina appena gli tolgono un po’ di attenzione!
Fuggire, prego, quelle sono le uscite di sicurezza!
Le cose buone, ho imparato, sanno di buono perché hai conosciuto l’amarezza. O viceversa, per i più fortunati. La grazia e la crudeltà. Vita e morte, bianco e nero, yin e yang. Una cosa esiste perché può essere definita (anche) attraverso il suo opposto. E possiamo accettare la durezza del mondo solo perché cerchiamo (e afferriamo) la felicità. A volte, la troviamo; a tratti, ci sorprende, inattesa, insperata.
La stronzaggine è venuta a galla così, senza un fax di preavviso, una telefonata, un toc toc alla porta. Sorpresa sorpresina!
E che goduria! Che liberazione! Una lampadina che finalmente si accende nel buio più totale!
Il dark side, il mostro che abbiamo dentro, non è meno degno.
E, qui lo dico e lo sottolineo, visto che sono solo una stronza, vi va bene, ma tanto bene!
Potrei essere una serial killer, appunto!
Potrei essere una finta buona, una benpensante, una ragazza per bene. Una di quelle che arriva vergine al matrimonio (e poi… Stiamo tutti pensando la stessa cosa? Già… Si sa!). Una maniaca depressiva. Una mamma che accompagna i figli a scuola e spaccia droga nei luna park.
La stronza si capisce subito che è stronza.
Io ce l’ho scritto in faccia, qui sulla fronte.
Non nascondo niente. Non c’è altro sotto ai miei ricci pazzi.
Vado diretta. Dico quello che penso. Faccio solo quello che mi sento. Onesta, nella mia stronzaggine! Magari non piace, non a tutti. Pazienza. Me ne sono fatta una ragione circa trent’anni fa, quando ero già una stronza, piccola, ma sempre io.
Non mi sto elogiando (forse un po’, forse sì; ma egoriferita no, non sono io quella. Avrei un paio di nomi da fare, se foste a caccia di esemplari classici… ma non sono io!).
Non mi sto schierando contro i buonisti (anche se, pure quelli, diciamolo, hanno scocciato…).
Non voglio neppure fare riferimenti trasversali all’ultima piaga della società: “le belle persone” (ho un’amica che non vuole più sentirselo dire, o le vengono sfoghi eritemi e pruriti fortissimi. Stiamo risolvendo con reciproci e quotidiani incitamenti a essere cattive persone: sta funzionando!).
Forse ho voglia di dare un consiglio (non ne do mai, per principio, perché non giudico, e non si danno consigli, senza aver giudicato… pensateci, se date consigli, allora, voi giudicate! Mi spiace. È la verità. Sono una stronza. Ve l’avevo detto!).
O un avvertimento (ma anche no! Io sono stronza anche se non vi avverto. E non smetto per non darvi un dispiacere. E no, non mi scuso).
La butto lì e, fossi in voi, la prenderei così, questa cosa, come tante altre senza una vera ragione specifica. Prendiamola come la pioggia, come i pollini, come i vulcani, come Babbo Natale. Esistono (anche Papà Natale, non scherziamo, per cortesia!). Punto.
Non domandiamoci tutti se e come mai e perché e da quanto. Lasciamola lì, così. Come voi avete i punti neri, le braccia corte o i denti cariati. Come certa gente è bugiarda, infingarda, furba, maleducata. Così. Capita.
E, se ci sono degli stronzi che si riconoscono, che si amano con tutta la loro bella, gigante, onesta e strabiliante stronzaggine, ma se la passano male, perché hanno amici benpensanti, apriamo qui, subito, un club di stronzi. Uniamoci! Mettiamoci a nudo, belli fieri, petto in fuori, tutti insieme! Non facciamoci relegare nel cantuccio dei cattivi col cappello con le orecchie da asino! Ribelliamoci!
Siamo onesti, fino in fondo, e una volta per tutte: non siamo stronzi noi, sono gli altri che non sono veri!
Ah! Dimenticavo. Siamo stronzi. Non vuol dire che siamo anche cattivi, bastardi, sleali. Verificare per credere: il cuore di uno stronzo è grande il doppio, consuma meno carezze, da il triplo di amore, accelera da zero a cinquemila in 0,5 secondi netti, regge a tutte le intemperie ed è garantito cinquant’anni!

Provate e poi mi dite!
EMLG

lunedì 17 marzo 2014

Questione di buon "senso"

Non è una questione di polemica. Non è neppure un tentativo di denuncia di ciò che funziona con l’obiettivo di cambiare il mondo e sentirsi più zen.

Ma ecco.  La gente non ascolta. Forse sente. Di sfuggita. Ma poi dimentica. E… Ciao! 
Non solo non ascolta manco avesse tappi di cerume pleistocenici, neppure legge. Si lascia indietro una serie di informazioni importanti, non solo della propria vita, ma anche di quella altrui (che tecnicamente comprende anche le persone care – forse-).

Allora ho deciso di non ripetere. Mai. Se chiedo un consiglio, una cortesia, o se viene detta semplicemente una cosa e non ha riscontro.. non importa… non lo ripeto. (viva Paganini).

In rarissimi casi le persone ascoltano davvero.. tranne quando stai baccagliando. Antenne a parabola, ricevi pure i canali del Kazakistan con interferenze dell’Oceania ed ET ti sta telefonando. Viene registrato ogni singolo racconto, per non apparire superficiali-disinteressati. Ma dura poco.

Non abbiamo mica perso questa abitudine così.. come fosse la verginità… ad un certo punto siamo inghiottiti da quello che facciamo – oddio mi chiama il capo per sapere se la giurisprudenza padana ha pronunciato sulla nascita prima dell’uovo o della gallina – o da quello che dobbiamo fare – mettermi a dieta, andare in palestra, chiamare la nonna, vestito in tintoria, girare nell’iperuranio e ritorno.

Eppure ascoltare non è male. Ovviamente dipende dall’interlocutore. Insomma, se mi fermano incappucciati vestiti fluo– per carità, rispettabilissimi - di chicchessia tradizione dell’olocausto che mi decreta la nascita di piaghe sulle mie mani (ma perché?), inondazioni (io non so nuotare, non credo nel potere del salvagenti – e comunque con il mio culo sarebbe bucato – né sono buona ad aggrapparmi. Secondo Darwin io sarei spacciata. Spacciatissima) e draghi che sputano palle di fuoco rotanti capaci di segare in due grattacieli (fortuna che a Torino ce ne sono pochi). Ecco… magari prima di dedicare tempo a loro, si potrebbe privilegiare quell’amico in crisi di mancanza dell’amore femminile (che per i maschi spesso è un rapporto troppo stretto con la parte più intima di sé.. Federica), l’amica in costante afflizione per il peso, quella che non trova se stessa, quella che fa la figa, quella cha fa la figa di legno, quella figa e basta, il fidanzato.

Ascoltare, e più in generale dare spazio ai sensi… è qualcosa che dimentichiamo di fare. Ma la meraviglia di riscoprirne le sensazioni è qualcosa di unico (quasi come la mia odierna voglia di lavorare).
Staccandosi da una dimensione più polemica e di puro vaneggiamento verbale per concentrarci su un qualcosa di più concreto, mi piacerebbe ricordare cosa vuol dire “sentire i sensi”.

Ascoltare la voce di una persona, stare in una stanza buia e sentire solo la voce, prima il suono. Poi i picchi e i bassi, rendersi conto di come le onde sonore entrano nelle nostre orecchie… poi percepire e capire il contenuto. (non è che uno poi deve farsi sta scena in mezzo ad una strada… nella migliore delle ipotesi ti prendono per scemo, nella peggiore ti stirano). Ecco. Quella è una voce che non scorderemo più e il contenuto sarà impresso nella nostra mente. Come quella della mamma che ti parla… magari per dirti che come il solito hai mollato i calzini sporchi sul balcone prendendolo come un segno di profondo disordine, quando l’intento era quello di preservare la famiglia.

Guardare.. guardare i lineamenti di una persona, fermarsi sulle increspature del viso, notare che è cambiato, che, la piega del sorriso e degli occhi può dire molto più di quanto possa essere nascosto dietro una “Grazie, sto bene” – la buglia più gettonata dei tempi, è vecchia tanto quanto la professione delle prostitute.. Vedere la borsa colma e lisa di un professionista che passa per strada, la fidanzata che si aggiusta continuamente i vestiti (mentre pensa “ma non mi dice niente del vestito nuovo? Per metterlo ho pure dovuto incellophanarmi nella mutanda contenitiva”), la foglia che veleggia nell’aria quando cade dagli alberi. Se non ci facciamo caso.. sono informazioni che perdiamo.

Toccare. Quante volte ci si saluta con un bacio? Quante volte con il fidanzato? Perché non godersi un momento così bello? È una privazione… Bisognerebbe fermarsi.. pensare. Prima il contatto, poi toccarsi con le labbra, sentire la vicinanza e poi la sensazione della pelle, la sua compattezza, poi la densità dei tessuti e la morbidezza. Così in ogni contatto… se ci concediamo un attimo in più riusciamo a sentire il gusto di quelle labbra… ed è un altro senso sorprendente.

Quante volte ci accorgiamo più della puzza che del buon odore che non sia cibo o profumo? Avvicinarsi tanto da apprezzare l’odore di qualcuno, se ci si riempie i polmoni ci accorgiamo che inebria tutto il cervello e allappa la bocca…


Ecco.. ora devo ricordare di farle, se no le connessioni sono inutili.

LXFH

martedì 11 marzo 2014

Grazie mille, sarà bello.

Ho un’amica che ripete le cose almeno 3 volte quando le racconta. 
Ne ho un’altra che non può non puntualizzare e rispondere il peggio possibile, una terza che non concepisce il significato di puntualità (concetto che sfugge anche a me, delle volte). 
Ne ho una che sclera, una lunatica, una che ha il ciclo premestruale troppo lungo o troppo corto e, poi, e poi ci sono i maschietti… che pur non avendo la fase premestruale hanno tutto il resto.

Ebbene io mi arrabbio tantissimo. 
Tantissimo quando devo ascoltare una cosa mille volte, quando sento risposte pessime che potrebbero lasciare spazio a modi, non più gentili, solo più civili… e quando aspetto, aspetto che la mia amica arrivi che come al solito ha trovato “un-amico-sotto-casa-che-l’ha-tenuta-un’ora-raccontandole-del bellissimo cucciolo di grifone che ha comprato su un sito di aste on line” – “il gatto si è ingoiato il nano da giardino della vicina e ora ha lo stomaco a forma di berretto a punta”.

Poi in realtà no. Non mi arrabbio. Penso al fatto che io ho scelto, e ho scelto loro, una/o a una/o e mi vanno bene così come sono (e poi voglio dire… parlo proprio io…).

Partendo da questo rifletto sulle persone che credono di poter salvare anime-perse-sulla-terra-che-attendono-l’arrivo-dell’ancella-misericordiosa e allora cominciano con “non dovresti fare questo”, “fai così”, “non dire questo”, … ma gettati da una finestra (piano rialzato non vale).

Ora… c’è una grande differenza tra chi cerca di dare una raddrizzata ad una persona vicina che sta pericolosamente deragliando su un qualcosa di oggettivamente sbagliato (non mi viene in mente altro che la droga, perché il sesso e il rock and roll sono una gran bella cosa – o un “lascio moglie e figli per mettermi con quella 18enne con poppette sode e culetto di marmo -) e chi invece pensa che il mondo dovrebbe girare in un senso unico: il proprio. 

Credo sia il limite tra il fanatismo del sé per cui chi si comporta diversamente sbaglia, e una vera dimostrazione di affetto per cui dietro il consiglio c’è una premura.

Le persone non cambiano. Ecco. Si smussano. Forse. Anche la persona più affine a noi avrà qualcosa che non ci piace, perché non è noi (ammesso che ci piacciamo).

In tutto ciò non so se esista una formula magica che lava via ciò che non ci piace. Ma nel processo "azione dell'altro - incazzatura - reazione mia", mi rendo conto che potrei sbagliare quando cerco, anche inconsapevolmente, di far “cambiare” qualcuno, ho capito che forse un modo c’è. Accettare.

Accettare che gli altri sono diversi da noi (e meno male), e accettare che è proprio alla loro diversità che ci siamo affezionati. 
E poi… avere un po’ di fiducia, ben centellinata, arrivando al punto di rendersi conto che forse, dietro il ritardo cronico, la luna storta, la rispostaccia, ci sia altro… un amore naufragato o un marinaio che naviga troppo velocemente verso il largo, un lavoro troppo o poco stretto e via dicendo…  


Poi voglio dire… se proprio non si va d’accordo… “grazie mille, è stato bello”.

LXFH